Monitoraggio da remoto dei pazienti covid: i numeri e le persone dicono che questa è la soluzione migliore

Il sistema di telediagnosi per i pazienti Covid nato dalla collaborazione tra l’Ospedale di Lodi, Medici Senza Frontiere e Zucchetti, prima software house italiana, è stata utilizzata da più di 8.000 malati nella fase non acuta, primi sostenitori del monitoraggio da casa


Un progetto di solidarietà nato per l’Ospedale di Lodi, il primo ad affrontare l’emergenza sanitaria legata al Coronavirus, è oggi diventato una “best practice” in campo sanitario, tanto da diffondersi rapidamente su scala nazionale.

Si tratta della piattaforma software ZCare Monitor, realizzata da Zucchetti* in collaborazione con Medici Senza Frontiere, che ha permesso da un lato di assistere a distanza i pazienti Covid che non versano nella fase acuta della malattia e dall’altro di liberare rapidamente posti letto negli ospedali in favore dei pazienti più gravi.

La soluzione, che verrà fornita gratuitamente a tutti gli enti che ne facciano richiesta entro il 30 settembre 2020 (è sufficiente mandare una email all’indirizzo email zcare@zucchetti.it), è utilizzata da 11 differenti strutture ospedaliere, per un totale di oltre 8.000 pazienti che sono stati monitorati da casa durante la fase più acuta della pandemia con un’età media di circa 49 anni.

Questi numeri dicono tanto, ma non tutto. Per una maggiore comprensione di quanto la telemedicina sia oggi la soluzione preferita dai malati (Covid o di qualsiasi altra patologia cronica) è molto utile sentire la testimonianza di uno di loro, Massimo Spelta, pensionato di 63 anni residente a Codogno (LO): “Tra il 24 e il 25 marzo, dopo aver effettuato una lastra e una visita pneumologica presso l'ospedale di Lodi, il medico mi ha comunicato la possibilità di un ricovero. Mi ha inviato al ‘percorso pulito’ (no covid), dove altri esami e in particolare la bassa saturazione di O2 (91) hanno confermato la necessità di ospedalizzazione.

Uscito dalla radiologia l'infermiera mi ha domandato se fossi arrivato solo, se ci fosse qualcuno da avvisare perché mi avrebbe accompagnato al ‘percorso sporco’ (covid) e lì nessuno sarebbe potuto entrare. Passata la porta del percorso sporco ho avuto immediatamente l'impressione di un dramma, qualcosa che vedi nei film di guerra o di grandi disastri. Lettini collocati lungo i corridoi, le due sale d'attesa liberate dalle sedie e piene di ricoverati su lettini e barelle posizionate per ottimizzare al massimo lo spazio, nonché altri come me seduti vicini all'area infermieri in attesa di completare gli esami.

Ricordo Francesco, Giovanni e Chiara e altri senza nome sul sopra camice che si sono alternati come grilli frenetici tra un lettino e l'altro, tra il mio prelievo, il catetere venoso e il tampone. Chiara, con un cuore disegnato al posto del puntino della "i", dispiaciuta perché non aveva lettini liberi, solo tre poltrone reclinabili. La notte è stata dura, non per la posizione, ma per i vari pensieri che si sono sovrapposti.
La paura di essere allontanato dagli affetti in un nosocomio, distante da casa. Con quali possibilità?
L'affetto che cresceva per quei ‘grilli’ che saltavano intorno a colmare ogni bisogno, quelli con il nome scritto e quelli senza, tutti irriconoscibili per come erano bardati. Sembrava avessero tutti lo stesso DNA, per l'amore che mettevano sul campo di cura o di battaglia.  Ho provato anche in quel momento il brivido del "distanziamento", li hanno chiamati angeli, eroi, termini che non rendono loro giustizia. Io non li volevo a distanza, volevo abbracciarli e accarezzarli. 

Ancora la paura; il virus non uccide, sono le altre patologie che uccidono gli over 60 contagiati anche dal virus. Nulla di vero. In quelle ore ho visto ragazzi giovani in forza, ‘conciati’ peggio di me, e ne arrivavano quattro o cinque di numero in più di quanti riuscivano a destinare nei reparti o negli altri ospedali. Poi alle ore 15:00 di giovedì 26 marzo il dottor Paglia – Stefano per i suoi ragazzi – dice che cinque pazienti possono essere seguiti da casa e chiede chi si rende disponibile. Aveva con sé gli strumenti per agganciarli alla piattaforma Zucchetti di telediagnostica. Ho alzato la mano a una velocità tale che nemmeno Mennea avrebbe avuto nello stacco dai blocchi; il dottor Paglia con un sorriso mi ha detto che avrebbe valutato; così è stato e nella mezz'ora trascorsa con lui per la cura a casa, le spiegazioni per l'utilizzo del saturimetro e del software ZCare Monitor e i documenti di dimissione ho capito da dove arrivava il DNA dei suoi ragazzi.

È già passato un mese di monitoraggio a distanza sono già ben oltre i quattordici giorni di quarantena previsti in quanto il primo dei due tamponi di controllo era ancora positivo. Un mese fa è stato però anche l'inizio della frantumazione delle paure, mediatiche e non. Questo sistema mi ha permesso, con le giuste precauzioni, di stare a casa vicino ai miei, di essere protetto, assistito dal personale medico della telesorveglianza, che dopo ogni registrazione ti telefona per approfondire quanto hai scritto sul questionario implementando anche con test specifici del respiro. Per assurdo, quando inserisco il questionario alle ore 8:00 e non ricevo il contatto immediato, so che va tutto bene.    Perché? Un giorno con 35,4 ° di temperatura, per errore ho inserito 34,5°. Non sono passati tre minuti prima che mi chiamassero: il software Zucchetti incrocia i dati e allerta gli operatori, così come le notifiche, che arrivano quando non inserisci il questionario per l'ora stabilita. Il coronavirus vissuto così non mi fa più paura”.
  
(*) Zucchetti spa, Zucchetti Centro Sistemi, Moxoff, MacNil.


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